Quanto vale il settore immobiliare in Italia?

Ti sei mai chiesto quanto vale l’immobiliare in Italia? Nonostante il clima di incertezza che negli ultimi anni ha permeato il mercato a causa delle crisi sanitarie e geopolitiche, il valore del settore è riuscito a raddoppiare: oggi il comparto rappresenta il 20% del Prodotto Interno Lordo Nazionale, mentre solamente un decennio fa era esattamente la metà, ossia il 10% del PIL.

Su 100 euro di beni prodotti nella nostra penisola, una ventina sono generati da real estate, edilizia e costruzioni. Un dato interessante, vero? Approfondiamolo meglio, per capire esattamente quanto vale l’immobiliare nei nostri confini.

Fatturati e volume di shopping del settore immobiliare

Sono principalmente due i drivers che trascinano la crescita del mercato. Da un lato troviamo la radicata abitudine degli italiani all’investimento nel “mattone”, ancora oggi visto come prospettiva di solidità per il futuro e capace di coinvolgere il 54% dei risparmi delle famiglie (circa 6.000 miliardi). Dall’altro ci sono i players internazionali, che incrementano il mercato interno con sempre nuove richieste.

Nel 2021 il fatturato del settore immobiliare aveva raggiunto i 126,5 MLD di euro (segnando un +11,6% rispetto al 2020), ma le previsioni lo davano chiaramente in arrivo ai 140 miliardi già nel corso del 2022 (ossia superiore di un altro 10% rispetto all’anno precedente). Osservando il fenomeno dal punto di vista dello Stato, si può notare che le tasse che gravano sul settore immobiliare ammontano a ben 441 miliardi di euro, ovvero il 9% del complesso delle entrate fiscali.

Analizzando il commercial real estate, ossia la compravendita di immobili con finalità di generare profitto (per plusvalenze o per l’entrata di canoni di locazione), si nota che a muoversi è all’incirca un miliardo di euro ogni mese. Secondo le rilevazioni della Cbre (leader mondiale nella consulenza immobiliare) nel 2022 il volume d’affari per l’immobiliare è stato di 11,7 miliardi di euro: il risultato migliore di sempre e in aumento di circa il 60% rispetto all’anno precedente.

A contribuire a questi ottimi risultati sono stati sia gli investitori di tipo istituzionale, sia le operazioni full-equity nei mercati prime, soprattutto uffici.

Quali asset class sono state le più performanti?

Se si desidera fare una panoramica delle asset class coinvolte negli investimenti, si può rilevare che quasi 4,7 miliardi derivano dal comparto uffici, mentre 2,7 miliardi dalla logistica. Rallentato dall’avanzare dell’e-commerce appare invece il retail, con 1 miliardo investito da inizio anno, mentre l’asset class hotels torna a crescere, con oltre 1,6 miliardi di euro investiti e ottime speranze di ulteriori evoluzioni, dovute allo sviluppo del settore luxury e all’interesse per l’Italia delle grandi catene di brand internazionali.

Più di 730 milioni di euro sono stati incanalati anche nel comparto cosiddetto “alternative”, costituito da Healthcare, Data Center e infrastrutture per le telecomunicazioni. Come va, invece, il settore residenziale?

L’asset class residenziale: andamento e distribuzione dello stock immobiliare

Sono 820 milioni di euro quelli mossi dal comparto living nel 2022. Seppur le aree edificabili sul territorio scarseggino sempre di più, si fanno largo nuovi concetti abitativi, spesso di stampo “affordable” e legati alla disponibilità di abitazioni economiche e/o dal budget facilmente approcciabile.

Oltre alle student houses e al multifamily, esiste un’altra fascia di mercato che in Italia domanda sempre più disponibilità, nonché nuovi standard: il senior living. L’aspettativa di vita, infatti, si allunga sempre di più e il paese invecchia (il 23% degli italiani ha superato i 65 anni). Si tratta di un target spesso composto da anziani autosufficienti e con esigenze quotidiane specifiche: a questo scopo l’edilizia si concentra, ad esempio, sulla gestione di immobili nei centri urbani, che siano comodi, funzionali e a breve distanza dai principali servizi.

Inoltre, oggi lo stock immobiliare residenziale (32,85 milioni di abitazioni) è composto per il 72% da abitazioni occupate dal proprietario, per il 14% da abitazioni in locazione, per il 4% da Housing sociale e per il 10% da un mix di altri utilizzi.

Riqualificazioni e nuovi servizi

Non particolarmente spinto dalla burocrazia è il segmento value add, ossia destinato a migliorare il valore degli immobili e a riqualificarli, sottoponendoli a interventi di efficientamento e ristrutturazione. Molti sono i progetti con queste finalità, sia nelle aree centrali delle città italiane, sia in quelle periferiche. Una tendenza sottolineata anche dall’intensa attività di acquisizione delle aree sviluppabili attraverso piani affini ai trend già menzionati.

Tra gli obiettivi su cui si concentrano gli investimenti immobiliari c’è anche la soddisfazione delle necessità nate dalla recente pandemia: la visione stessa della casa è cambiata, così come le funzionalità richieste agli ambienti domestici e l’ampiezza degli spazi abitabili. Qualche esempio? Sono richiestissimi i loggiati, i terrazzi e gli spazi esterni da vivere, ma anche le stanze dedicate al fitness o quelle adibite allo smart working.

In ogni caso, si può affermare che la domanda oggi supera l’offerta immobiliare e richiede sempre più servizi, rafforzando l’esigenza di trovare soluzioni condivise.

Il Q4 del 2022 e le previsioni sul 2023

Se i primi tre trimestri del 2022 avevano fatto registrare ampi segnali di crescita, il Q4 ha mostrato dei cenni di rallentamento. A causarli l’atteggiamento attendista da parte degli investitori, in risposta alle previsioni della BCE in merito al rialzo dei tassi di interesse. Infatti, gli investimenti nel IV trimestre dell’anno sono stati inferiori del 51% rispetto allo stesso periodo del 2021, ma anche del 26% rispetto ai primi trimestri del 2022, un peggioramento che ha riguardato tutte le asset class e tendenzialmente tutti i mercati in Europa.

Si prevede che i volumi d’affari tengano il freno a mano tirato anche nel primo semestre del 2023, sia per l’aumento del costo del capitale, sia per un approccio prudenziale da parte degli istituti di credito, poco inclini a finanziare nuove operazioni, anche nel settore retail. In ogni caso è bene segnalare che il trend è in netto miglioramento e che il rallentamento della corsa dell’inflazione, sia nell’area europea che negli USA, ha generato un’iniezione di fiducia negli investitori.

Possiamo quindi ragionevolmente aspettarci che i volumi d’affari nel 2023 tornino a crescere con ritmi sostenuti.

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